La necropoli di Macchiabate, scavata non completamente dalla Zancani Montuoro negli anni Sessanta, è formata da quasi 200 sepolture, le tombe sono dei tumuli di pietra di forma circolare od ellittica. I tumuli non hanno muretto di contorno o fossa o delimitazione del piano deposizione: il morto era deposto con le gambe ritratte su uno strato di sabbia e vicino a lui era disposto il suo corredo funebre composto da vario vasellame di ceramica ed oggetti in metallo, generalmente bronzo, che facevano parte del vestiario del defunto (bracciali, anelli, cinturoni, fibule ecc.) o armi se si trattava di un uomo di rango elevato. Le tombe non avevano assi o impalcature di legno e le pietre erano poste direttamente sul morto e sul suo corredo. La deposizione inizia nell’età del Ferro ma ci sono due categorie di tombe, la prima sono molto omogenee tra loro nella tipologia del corredo e non presenta contatti con il mondo marittimo del bacino del Mediterraneo, mentre la seconda categoria presenta nel corredo tombale oggetti giunti via mare:
pisside sferica, sigilli, la famosa coppa fenicia. Questo testimonia contatti con il mondo greco-orientale già nel periodo del geometrico medio e recente ancora prima cioè del movimento coloniale greco che portò alla fondazione di Sibari nel 708-707 a.C.. L’uso della necropoli copre quindi dall’Vili fino al VI sec. a.C.. Sul Timpone della Motta era invece localizzato un santuario che dominava per la posizione geografica del colle, la piana di Sibari e la vallata del Raganello; i templi del santuario erano quelli che oggi chiamiamo edifici Il, III e v, i portici o edificio di servizio per pellegrini e sacerdoti, indispensabili per ogni luogo di culto che fosse un santuario, gli edifici I e IV. Il santuario ha avuto diverse fasi cronologiche ed è proprio lo studio dell’edificio V, l’ultimo scoperto
sulla Motta, ed ancora in fase di scavo che può chiarire la vita del santuario, poiché gli edifici scoperti negli anni sessanta (I, Il e III) hanno una stratigrafia confusa dovuta a sconvolgi-menti del terreno in seguito all’utilizzo umano ed animale del terreno. Secondo la Maaskant-Kleibrink tra la fine del IX e l’inizio dell’Vili sec. a.C. fu costruito sullo stesso posto dove poi sorgerà il V edificio un’altare all’aperto ed una capanna con un grande telaio, che probabilmente era usato dalle sacerdotesse, per tessere il peplo della dea. In questa capanna furono infatti trovati fornelli di terracotta, grossi vasi d’impasto che contenevano probabilmente la lana e due file di pesi di telaio con decorazione a Labirinto su una lunghezza di 2,20 m, questo telaio era tenuto da due pesi più grandi non decorati. Ciò fa quindi pensare ad una capanna «funzionale» cioè veramente usata per la lavorazione della lana e non solo dedicativa. Questo antichissimo luogo di culto ha sicuramente un’impronta prettamente indigena e precoloniale, poiché il materiale trovato nella cenere dell’altare e nella capanna è composto da ceramica d’impasto, bronzi e ceramica geometrica di fattura ed ispirazione locale. A questa prima fase, forse una delle più antiche fasi culturali della Magna Grecia, seguì una costruzione templare imponente degli edifici V, III e I dove l’alzato era costruito con grumi d’argilla e paglia ed il tetto sorretto da pali di legno infissi nella roccia appositamente tagliata, questa fase è datata al VII sec. a.C.
La terza fase di costruzione vede l’edificazione degli edifici I, III, IV e V, nonché del piccolo tempio Il con basamento in ciottoli di fiume e mattoni crudi come alzato, cronologicamente con queste costruzioni siamo nel VI sec. a.C. ed è in connessione con le case coloniali dello stesso periodo ritrovate sui pia-non terrazzati (probabilmente artificialmente) che circondano l’acropoli:
la casa dei Pesi e la casa della Cucina sul pianoro Il, la casa dei Clandestini, la casa dell’Anfora e la casa dei Pithoi sul pianoro III e la casa Aperta e la casa del Muro Grande sul pianoro I. E proprio il tempietto Il che ha fornito il nome della dea greca venerata nel santuario: una laminetta votiva di bronzo posta nel tempio dell’atleta Kleombrotos per dedicare la decima della sua vincita ai giochi olimpici alla dea ci dice che questa divinità era Atena.
La dea indigena del telaio alla quale si dedicavano brocche e scodelle di ceramica geometrica, anelli, fibule e fermatrecce di bronzo, alla quale si tesseva il peplo su un telaio formato da pesi decorati con il Labirinto diventa, dopo il contatto con le popolazioni greche, la dea Atena, protettrice dei lavori femminili e signora del Labirinto, come viene denominata nelle tabelle pilie, nelle monete di Cnosso e nei vasi attici; una dea alla quale nel VII sec. a.C. si dedicano servizi votivi formati da idrie e coppe a filetti, o da pissidi, skyphoi, lekythoi, aryballoi ed alabastra d’imitazione o d’importazione protocorinzia o corinzia. L’identificazione della dea del telaio con Atena, il santuario dedicato a questa divinità, la città di VI sec. a.C. e sotto le case coloniali la scoperta di capanne enotrie di VIII sec. a.C. ha fatto pensare all’identificazione di questo sito con la mitica città di Lagaria, fondata dall’eroe greco Epeo, il costruttore del cavallo di Troia, durante le sue peregrinazioni dopo la guerra iliaca, e che Strabone nella sua Geografia dice trovarsi tra Thuri ed Eraclea: l’eroe fondò infatti una città che prese il nome. di sua madre e vi dedicò un tempio alla sua protettrice Atena, alla quale dedicò i suoi arnesi. La divinità venerata sulla Motta, di cui abbiamo splendide immagini in terracotta sia in posizione stante che seduta sul trono con il peplo sulle gambe sarebbe dunque una dea egea ed il suo culto già definito ed importante prima della colonizzazione greca della fine dell’VIli sec. a.C. E proprio la stessa immagine della dea si riferisce a situazioni che
richiamano l’epos omerico, come la dedicazione e l’offerta del peplo alla divinità seduta in trono, che ricorda rituali che si svolgevano durante la guerra di Troia e che quindi richiama all’esistenza di una città fondata da un eroe acheo come Epeo.
L’affascinante ipotesi dell’identificazione del centro enotrio con la città di un eroe greco della guerra iliaca mette in evidenza la volontà di ammettere la nascita di un centro greco in epoca micenea, molto spesso però nella Magna Grecia dietro queste leggendae di fondazioni c’è una reale frequentazione micenea. Per quanto riguarda il sito di Francavilla oltre alle prove sopradette ci sono le recenti scoperte archeologiche di strati datati all’età del Bronzo Medio e Recente sul pianoro I ed alla capanna del Bronzo Medio, tagliata nella roccia al centro del V edificio che testimoniano la presenza di una continuità abitati-va da tale periodo sino alla fase coloniale, la presenza di ceramica italomicenea o di grey ware, che si chiarirà meglio durante la campagna di studio del materiale, nel 1999, darebbe ancora più credito a questa identificazione.
Non solo ma la scoperta di una tomba principesca il cosiddetto Cerchio Reale, non riutilizzato per deposizioni successive, forse per il suo valore ideale, con un corredo adatto ad un falegname e di datazione più antica rispetto alle altre tombe, potrebbe rappresentare il cenotafio di un dio artigiano degli indigeni che i primi greci hanno assimilato al loro eroe Epeo.
Il sito di Francavilla Marittima, quindi, nel quadro dell’archeologia della Magna Grecia si inserisce come centro indipendente da Sibari per la vita e la civiltà enotria sviluppatasi in epoca precoloniale e per la sua ricchezza ed importanza come centro culturale in epoca coloniale, a testimonianza di tali eventi i materiali rinvenuti negli abitati e nel tempio: splendidi vasi di ceramica geometrica con stili importati da altri distretti regionali (stile a tenda) e stili elaborati localmente (stile a frange) che suggeriscono come pensa la MaaskantKleibrink una precisa identità culturale e di popolo, ceramica grecocorinzia sia d’importazione che di fattura locale, ultimamente è stata scoperta una splendida coppa Aetos 666 importata; essa rappresenta uno dei più antichi vasi greci d’importazione poiché ha una datazione di VIII sec. a.C. scarabei ed oggetti di faience di provenienza greco-orientale.
E impossibile non fare un accenno alle importanti scoperte della campagna di scavo iniziata i primi di settembre e terminata oltre la metà di ottobre ‘98: sul pianoro I, continuando lo scavo di due case coloniali, la casa Aperta e la casa del Muro Grande, negli strati più profondi sono stati scoperti situazioni abitative risalenti all’età del Bronzo ed una capanna enotria di VIII sec. a.C. con una pianta ben definita da buchi di palo e da un piano di calpestio da cui è venuto alla luce una gran quantità di ceramica indigena e soprattutto di forme complete decorate che possono far capire l’intera evoluzione di questa classe ceramica sul Timpone della Motta il tempio V ha evidenziato una pianta molto allungata, nella tradizione dei più antichi templi greci ed al centro di questo, come abbiamo già detto sopra, è stata scoperta una capanna del Medio Bronzo.
Di conseguenza è importante garantire la possibilità di ricerca alla missione olandese, che con l’importante guida della prof.ssa Maaskant-Kleibrink sta lavorando da tanti anni a questo progetto.
Per saperne di più:
- Bald Romano I. «Early Greek Cult lmages and Cult Pratices», in Marinatos N & Hagg R., Stoccolma, 1988.
- Cardarelli A., Peroni R, «Novità sull’età del Bronzo in Calabria» in ASMG, XX,1980.
- Foti G. «Scavi a Francavilla Marittima. Le premesse di un intervento sistematico ed iprimi risultati», in ASMG, VI-VII, 1966.
- Maaskant-Kleibrink M. «Religious activities on the Timpone della Motta Francavilla Marittima — and the identffication of Lagaria» in BABesch n.68.
- Maaskant Kleibrink M. «Abitato sull’altopiano meridionale della Motta» in ASMG, XVIII-XX, 1977.
- Stoop M.W. «Note sugli scavi nel santuario di Atena sul Timpone della Motta (Francavilla Marittima — Calabria)», 4, in BABesch n. 58, 1983. Zancani Montuoro P. «Necropoli di Macchiabate» in ASMG, Xl-XII, 1972.
- Sangineto M., La Rocca A. «Francavilla Marittima. Profilo storico archeologico ed aspetti ambientali e speleologici». Patroc. Amm. Com. Francavilla M.ma 1997.
- Maaskant Kleibrink «Resoconti di scavo dal 1993 al 1997». Groningen Institute of Archaeologie, 1993/97.
In primo piano: i resti del basamento di uno dei templi di Timpone della Motta.
CALABRIA 27 OTTOBRE 1999 “RIVISTA DELLA REGIONE CALABRIA”